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Titolare in NAZIONALE, poi il disastro: CARRIERA distrutta, è finito a guidare un UBER

Stadio - Foto Lapresse - Ilgiornaledellosport.net
Stadio – Foto Lapresse – Ilgiornaledellosport.net

Arrivare in alto può essere facile, restarci molto meno: la triste storia di una promessa che si è dovuta arrendere ad un destino crudele.

Il debutto in nazionale rappresenta per molti giocatori il punto più alto della propria carriera. Del resto si tratta di un traguardo non scontato, che non può essere raggiunto da tutti i bambini che si affacciano al calcio con entusiasmo e mille aspettative e che in quanto tale è meritevole di un primo bilancio della carriera.

Già, perché nella vita e in particolare dello sport può essere come noto non impossibile arrivare in alto, se si è in possesso delle qualità tecniche necessarie per provarci, o comunque meno impegnativo piuttosto che restare in quota. Ma cosa deve fare un atleta per non essere ricordato come una meteora?

Come detto, in particolare nel calcio moderno, in Italia e non solo, una convocazione in nazionale rappresenta sì una medaglia da mettere al petto, ma non può essere un punto di arrivo. Sia perché la percentuale di giocatori di livello selezionabili, a fronte dei tanti stranieri presenti in ogni campionato, si è ridotta sensibilmente rispetto al passato, sia perché il calcio di oggi macina protagonisti o aspiranti tali alla velocità della luce.

Il rischio di trasformarsi in novelli Icaro è quindi davvero concreto. Per evitare di correrlo serve umiltà e una voglia di lavorare che non deve essere intaccata dalle prime soddisfazioni tecniche o economiche ottenute in carriera. E poi serve sempre lei, quel pizzico di fortuna che permetta di evitare infortuni o disavventure varie.

Dalla nazionale con Messi al declino inarrestabile: l’ex terzino ha dovuto cambiare vita

Per fare un esempio, cosa può esserci di meglio per un calciatore argentino che giocare una partita in nazionale al fianco di Leo Messi? Vedere uno dei miti del calcio vicino a sé al momento degli inni nazionali e poi con la propria stessa maglietta per 90 minuti? Semplice, fare in modo che quell’emozione ricapiti. Un sogno che è purtroppo rimasto tale per una delle promesse mancate del calcio argentino.

Era il 9 giugno 2017 quando a 24 anni José Luis Gomez esordì con la maglia dell’Argentina nell’amichevole giocata a Melbourne contro il Brasile e vinta 1-0 dalla Seleccion. Il ct era Jorge Sampaoli, che diede fiducia a questo esterno di centrocampo già presente nella rosa dell’Olimpica 2016 a Rio de Janeiro e in forza al Lanus, la squadra della città di Diego Armando Maradona, con la quale vinse il titolo nazionale nel 2016. Insomma, sembravano esserci abbastanza indizi per pensare si trattasse di un predestinato, ma un destino amaro fatto di infortuni in serie era in agguato.

Gomez con Messi in nazionale - Fonte X - Ilgiornaledellosport.net
Gomez con Messi in nazionale – Fonte X – Ilgiornaledellosport.net

Troppi infortuni e troppe porte in faccia, ma la speranza non muore: “È felice solo in campo”

Oggi, a 31 anni, a Gomez sono rimasti solo ricordi sbiaditi di una carriera purtroppo mai davvero decollata e fatta di troppi sogni infranti. Come quello di entrare tra i convocati per il Mondiale 2018 in Russia, svanito all’ultimo a causa di un grave infortunio al ginocchio. O quello di tornare a giocare nel massimo campionato con il San Marin, club con il quale José Luis aveva ottenuto la promozione lo scorso anno, ma che non gli ha rinnovato il contratto a fine 2024.

Gomez è quindi svincolato da qualche settimana, in attesa di una chiamata che non arriva. Le uniche che sente suonare non riguardano il calcio, bensì il nuovo lavoro che il ragazzo è stato costretto a intraprendere per continuare a vivere, come raccontato dal padre in un’intervista a ‘Olé’: “Nel pomeriggio guida una Uber, a volte anche la sera, ma per essere felice ha bisogno di tornare in campo”. L’appello lanciato da Gomez senior qualche tempo fa non è stato per il momento accolto da nessuno, così a José Luis restano solo foto quasi ingiallite e l’orgoglio di averci provato. Se quelle ali si sono bruciate non è stata colpa sua.