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Dai ‘Red Devils’, alla fede ‘angelica’: studia teologia a Roma e diventa sacerdote a Dublino

Sir Alex Ferguson festeggia uno dei tanti titoli vinti con il Manchester United - Fonte X - Ilgiornaledellosport.net
festeggia uno dei tanti titoli vinti con il Manchester United – Fonte X – Ilgiornaledellosport.net

Far parte di una squadra mitica e arrivare al grande calcio può non dare la felicità: la storia dell’ex nazionale che ha svoltato grazie alla fede.

Cosa sarebbe successo se il Manchester United non avesse dato fiducia ad Alex Ferguson, futuro Sir, dopo i primi anni senza titoli trascorsi sulla panchina di Old Trafford? La domanda, non nuovissima, torna ciclicamente d’attualità tra gli addetti ai lavori calcistici.

Si tratta di un efficace interrogativo retorico utile per discorrere su quanto possa essere dannosa la mancanza di pazienza nel giudicare il lavoro di un allenatore, da parte di società, ma anche opinione pubblica, in particolare quando si è all’inizio di un nuovo ciclo.

Saper andare oltre le apparenze dei risultati che in avvio non arrivano è una virtù che può salvare i bilanci di un club, ma anche le bacheche dello stesso se il tecnico in questione fa intravedere in nuce segnali positivi tra un risultato e l’altro a livello di gioco e non solo.

I Red Devils con Ferguson in panchina hanno vinto il primo campionato solo sei anni e mezzo dopo l’arrivo del manager scozzese, iniziando quello che sarebbe passato alla storia come uno dei cicli più gloriosi e vincenti del calcio mondiale. Dal ’92 al ’97 lo United ha saputo vincere quattro campionati in cinque anni, chiudendo nel ’95 al secondo posto alle spalle del sorprendente Blackburn.

Il debutto in Premier e le tante partite in nazionale, poi lo stop: l’ex Man United dice basta

Quel Manchester United era pieno di giocatori che avrebbero fatto la storia del calcio. Da Schmeichel a Keane, dai fratelli Neville a Scholes fino a Giggs e Cantona. In rosa, da aggregati alla prima squadra, c’erano però anche elementi che non sarebbero riusciti a sfondare nel calcio. Non solo per oggettivi limiti tecnici. Proprio alla stagione ’94-95 risale infatti la prima delle cinque presenze con il Manchester dei grandi di Philip Mulryne, centrocampista nordirlandese classe ’78 prodotto del vivaio di Old Trafford.

Il livello di quella squadra era però troppo alto per lui, così la carriera proseguì con soddisfazione al Norwich. Mulryne seppe affermarsi come un giocatore chiave per i Canaries per sette stagioni, percorso coronato dalla promozione in Premier ottenuta nel 2004. Tornare nel grande calcio e essere un punto fermo della propria nazionale non bastò tuttavia per far recedere il giocatore da una svolta maturata nel tempo.

Philip Mulryne oggi - Fonte X - Ilgiornaledellosport.net
Philip Mulryne oggi – Fonte X – Ilgiornaledellosport.net

“La mia vita non mi piaceva più”: padre Philip spiega la svolta

Mulryne capì infatti lentamente che il pallone e i suoi guadagni non erano più una priorità, scegliendo di tornare nelle categorie inferiori per avere il tempo di dedicarsi alla fede e alla vocazione che era nel frattempo sorta in lui. “Nel mio ultimo anno a Norwich ho iniziato a essere insoddisfatto del mio stile di vita – avrebbe poi dichiarato – Ho scoperto che, nonostante tutto ciò che mi circondava, sentivo una sorta di vuoto”.

L’addio ufficiale al calcio risale al 2008 e precedette l’ingresso in seminario per iniziare la formazione per il sacerdozio cattolico. Dopo un percorso di studi di due anni presso il Pontifical Irish College di Roma arrivò la laurea in teologia ottenuta nella sua Irlanda del Nord. Nel 2016 Mulryne effettuò la professione solenne domenicana nel 2016 e l’anno seguente venne ordinato presbitero. Oggi Mulryne sovrintende una congregazione presso la chiesa del priorato di St. Mary a Cork e si chiama reverendo padre Philip.