“Non fu un vincitore, ma un perdente con fortuna”: morto a 49 anni il fuoriclasse dalla gamba più corta di 6 centimetri | È finito solo, senza soldi e alcolizzato
È stato uno dei giocatori più forti di sempre, non troppo distante neppure da Pelé, ma la sua carriera e la sua vita sono durate troppo poco.
Belli lo si deve essere subito, ricchi e famosi lo si diventa. Il “triplete” delle qualità storiche riconosciute ad un calciatore e ad uno sportivo in genere appartengono spesso quasi esclusivamente all’immaginario collettivo, se non alla folta schiera dei luoghi comuni che riguardano il mondo del pallone.
Certo, è un dato di fatto che per abbracciare la carriera di sportivi professionisti qualche qualità fisica bisogna pur averla. Una verità divenuta necessità nello sport contemporaneo, nel quale l’atletismo e la potenza hanno smesso di essere optional per trasformarsi in requisiti indispensabili per sfondare.
Questo non significa ovviamente che nel calcio di oggi giocatori come Maradona o Leo Messi non avrebbero potuto fare strada. Il Pibe e la Pulce sarebbero comunque entrati nella leggenda come due dei migliori interpreti in assoluto del proprio sport, ma si sarebbe trattato di eccezioni. Come eccezione lo è stato Roberto Baggio, capace di costruire una carriera gloriosa pur avendo dovuto fare i conti con una gravissima serie di infortuni già prima di raggiungere la maggiore età. Eppure c’è chi ha fatto meglio del fuoriclasse di Caldogno.
Manoel Francisco dos Santos è un nome che dice poco ai giovani appassionati di calcio, a differenza del soprannome che lo ha reso famoso: Garrincha. Un nome che appartiene al mito, quello contenuto in una carriera durata di fatto appena una dozzina d’anni, buoni però per diventare una bandiera del Botafogo, vincere due Mondiali, diventare il miglior dribblatore di sempre nella coppa del mondo e passare alla storia come “l’altro Pelè”, prima di spegnersi a neppure 40 anni.
Una vita di stenti e un dribbling letale: la leggenda del campione finito in miseria
Già, “l’altro Pelè” perché Mané con il compianto Edson Arantes do Nascimento c’ha giocato e vinto tanto con la Seleçao e oggi i due vengono considerati come i più forti calciatori brasiliani di tutti i tempi. Uno, il 10 per eccellenza, simbolo di classe e potenza, l’altro, la più forte ala destra di sempre, sulla carta la negazione dell’atleta, eppure capace di fare delle proprie menomazioni fisiche un punto di forza.
Solo le leggende sono infatti in grado di diventare re dei dribbling pur avendo dalla nascita una gamba, la sinistra, più corta dell’altra di sei centimetri. O forse proprio per questo, dal momento che fin da piccolo Garrincha, soprannome dato dalla sorella che lo vedeva simile a un piccolo uccellino di quelle zone, si mostrò più forte dei tanti problemi congeniti, anche alle ginocchia, che sconsigliavano la pratica calcistica. Il resto lo fecero la poliomielite contratta da bambino e la povertà, con conseguente malnutrizione.
La solitudine (e la maledizione) dell’ala destra: quel destino che unì George Best e Garrincha
Eppure quello scricciolo di 170 cm per 70 kg era nato per prendere a calci un pallone, o meglio per mandare questo in una direzione e inseguirlo e gli avversari dall’altra. Centinaia di gol e migliaia di dribbling prima che a mandare tutto in fumo e impedire a Mané di godersi in vecchiaia quei soldi mai visti in gioventù fossero vizi che non danno scampo, gli stessi che ne condizionarono la carriera già dopo i 30 anni. Le belle donne e soprattutto l’alcool, consumato per anni fino a distruggere il proprio fisico ad appena 45 anni, trovando la morte a 49 per un edema polmonare, dopo anni di sofferenze causati della cirrosi.
Garrincha morì il 20 gennaio 1983, in solitudine e in povertà, abbandonato da tutti, dopo aver tentato più volte il suicidio e dopo aver trascorso gli ultimi giorni a bere per le osterie di Rio. Di lui il leggendario scrittore uruguaiano Eduardo Galeano scrisse: “Non fu un vincitore, fu un perdente con fortuna”. Una fine diversa, ma con tratti in comune, rispetto a quella di George Best, ironia della sorte un’altra, leggendaria ala destra. Garrincha non passerà alla storia per gli aforismi del nordirlandese, ma come l’ex United ha saputo dare lustro allo sport che amava. Pur senza essere bello e predestinato.