L’Ago nel pagliaio: oltre le rivalità e i colori, l’eterno esempio del Capitano, quello che non sai su di lui
La triste storia di un campione d’altri tempi, delle sue debolezze e delle sue paure, troppo vero per venire compreso dal mondo del calcio.
Ci sono partite che restano nella memoria di tutti i tifosi, che di quella gara ricordano tutto. Giorno, data, ora, come si erano vestiti per andare al lavoro, cosa avevano mangiato e ovviamente quali erano le sensazioni a poche ore dal “Grande Evento”. Lo stesso vale per i calciatori e in particolare per quelli che hanno avuto la fortuna di vivere la classica partita che vale una carriera.
Può trattarsi di una finale Mondiale se il livello raggiunto in carriera è così alto, ma anche di Coppa dei Campioni o della partita decisiva per la vittoria di uno scudetto. Opportunità che possono capitare anche una sola volta nella vita. Il treno passa e poi non torna più. E perderlo può lasciare un segno lacerante.
Agostino Di Bartolomei, però, non si è suicidato “solo” perché non aveva saputo farsi una ragione di quella sconfitta ai rigori nella finale di Coppa Campioni Roma-Liverpool del 30 maggio 1984. Pur avendo scelto, non certo a caso, il 10° anniversario di quella notte per farla finita, non era solo per quel ricordo insopportabile che “Ago” si “sentiva chiuso in un buco”, come scritto nel messaggio che precedette quel sordo colpo di pistola.
Quel 30 maggio ’94 era una giornata di sole. Estate anticipata e il mondo dello sport stava cercando di riprendersi dallo shock di un mese prima, la morte di Ayrton Senna durante il GP di San Marino. Alle porte c’era il Mondiale negli Stati Uniti, in cui l’Italia avrebbe dovuto cercare di riscattare la delusione di quattro anni prima, italiano, quello delle Notti magiche che lo sarebbero state solo fino ad un certo. Quel Mondiale Di Bartolomei lo visse nei panni di commentatore tv per la Rai.
Agostino Di Bartolomei e quel cuore troppo grande per il calcio
Panni inediti e non troppo amati, se è vero che l’esperienza non fu ripetuta e che anzi da quel momento Ago non sarebbe più comparso in pubblico. Il calcio moderno non faceva per lui. Non per quello che accadeva sul campo, però, dove a dispetto del motivo per cui fu fatto fuori dalla Roma prima e dal Milan poi la sua presunta lentezza era ampiamente compensata dalla velocità di pensiero e dalla tecnica.
Non faceva per lui perché troppo parlato e mal si confaceva ad un uomo all’antica. Uno per il quale i silenzi valevano più di 1000 parole, una stretta di mano era come un contratto firmato e un’amicizia era per sempre. Di Bartolomei era “Il Garrone di Cuore”, come lo definì genialmente Gianni Mura nella prefazione al ‘Manuale del calcio’. Già, Ago era come quello studente grosso grosso e dal cuore d’oro, che metteva a rischio la propria incolumità per difendere i più deboli. Nel calcio, però, persone così finiscono per essere stritolate, per fare la parte dei vasi di coccio in mezzo a quelli di ferro, per usare un’altra celebre citazione.
I tradimenti, la solitudine e quel “buco” insopportabile: perché Ago non c’è più
Il messaggio d’addio di Agostino fu lanciato al mondo del calcio e anche alla sua Roma che l’aveva abbandonato senza un vero perché. In tutti i suoi rappresentanti. Il suo maestro, Nils Liedholm, che l’aveva accolto al Milan, non era mai andato a trovarlo nella scuola calcio aperta dopo il ritiro. E anche i compagni di una vita, da Graziani a Bruno Conti, tra risse in campo e dichiarazioni sibilline, avevano dimostrato di non saper saputo capire il suo cuore.
Quando la solitudine diventa un pozzo senza fine i ricordi possono schiacciare. Il ritorno alla Roma da dirigente era rimasto un sogno, i problemi economici iniziavano a farsi assillanti e allora ecco quel colpo di pistola che squarciò l’aria di Castellabate, il centro del salernitano nel quale si era trasferito per vivere nel post-calcio. Quel buco, oggi, è lo stesso nel quale vive la sua famiglia, la moglie Marisa e il figlio Luca, e quei tifosi della Roma che non gli perdonarono quell’esultanza per il gol dell’ex segnato con la maglia del Milan. Un gesto da uomo vero, ferito e incompreso. E forse incomprensibile per il mondo del calcio. Freddo come un colpo di pistola.