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Campione del mondo nel 2006 con Lippi, poi l’oblio: armi, ‘ndrangheta e condanna a due anni | La cupa storia di Vincenzo Iaquinta è ancora tutta da scrivere

Vincenzo Iaquinta - Fonte X - Ilgiornaledellosport.net
Vincenzo Iaquinta – Fonte X – Ilgiornaledellosport.net

Una coppa del mondo alzata da protagonista, quasi 100 gol in Serie A e un post-carriera pieno di drammi: Vincenzo Iaquinta lotta ancora.

Vincere un campionato del mondo vale un’intera carriera. Non solo, anzi non principalmente, dal punto di vista economico. Perché giocare per la propria nazionale e rappresentarla non sposta certo in maniera significativa il conto in banca di giocatori che, se sono arrivati a quei livelli, sono già assai ricchi e famosi.

Certo, sollevare la coppa del mondo significa anche incassare un premio importante dalla propria Federazione, sempre comunque inferiore agli ingaggi dei top players dei tempi moderni. Vincere il Mondiale significa entrare nella leggenda, venire ricordati per sempre, conservare l’orgoglio di essersi meritato di far parte di un gruppo vincente.

Come in tutti i campi della vita e del lavoro ci sono poi le gradazioni. I campionissimi che quella coppa l’hanno conquistata da protagonisti, chi si è dovuto accontentare di partecipare e chi ha fornito il proprio, umile contributo, a coronamento di una carriera non da fuoriclasse, ma quella del campione nato dalla gavetta.
Vincenzo Iaquinta sente giustamente proprio quel Mondiale vinto nel 2006 con l’Italia di Marcello Lippi, dopo aver disputato cinque partite su sette, seppur tutte da subentrante.

Oltre al gol del 2-0 al Ghana nella gara d’esordio, al termine di una cavalcata che riassunse alla perfezione le sue caratteristiche di attaccante, Iaquinta disputò un’ora della finale, supplementari inclusi, l’extra-time della semifinale contro la Germania e il secondo tempo dell’ottavo-thrilling contro l’Australia. Insomma, il classico e preziosissimo 12° uomo.

Dal sogno all’incubo: risalita e (parziale) rinascita di un campione del mondo

Ricordi che oggi rappresentano tuttavia polvere di stelle per un giocatore che dopo quel trionfo visse altri tre anni a buoni livelli tra Udinese e Juventus, oltre che in nazionale, ma soprattutto per un uomo provato dal ciclone di un processo subito da imputato insieme al padre. Aemilia, il più grande processo mai celebrato nel Nord Italia contro la ‘ndrangheta.

Tutto ebbe inizio da un’indagine della direzione distrettuale antimafia di Bologna. Il 4 febbraio 2015 vengono rinvenute due pistole e 126 proiettili nell’abitazione di Giuseppe Iaquinta, padre di Vincenzo. Armi di proprietà dell’ex calciatore, regolarmente denunciate, ma che nel 2014 il padre portò a casa propria all’insaputa di Vincenzo. L’ex attaccante ha visto cadere nel 2019 l’accusa di associazione mafiosa, aggravata dal favoreggiamento della ‘ndrangheta di Cutro, della cui affiliazione fu accusato il padre, ma non la condanna a due anni per irregolarità nella custodia di armi.

Vincenzo Iaquinta esulta dopo un gol con la nazionale - Foto Lapresse - Ilgiornaledellosport.net
Vincenzo Iaquinta esulta dopo un gol con la nazionale – Foto Lapresse – Ilgiornaledellosport.net

Il difficile dopo-calcio di Iaquinta: la battaglia vinta e un’altra da conquistare

L’ex attaccante della Juventus è stato quindi condannato pur senza aver commesso reati specifici, bensì per la vicinanza con il padre, ritenuto “una figura strategica all’interno del sodalizio criminoso” e poi condannato a 13 anni di reclusione. I lunghi anni del processo hanno poi dato a Iaquinta un’altra vittoria attraverso la restituzione alla famiglia dei beni che erano stati sequestrati. “Abbiamo dimostrato che i soldi che entravano nella nostra famiglia erano tutti di provenienza lecita” avrebbe poi detto Vincenzo in un’intervista-sfogo all’Unità, nella quale ha annunciato la prossima battaglia da cercare di vincere.

“Il mio cuore ancora piange, perché mio padre è in carcere e quello non è un posto per lui – ha detto il campione del mondo, che durante il dramma del processo ha anche subito la perdita della madre, nel 2019 – Mio padre non è un mafioso e io griderò la sua innocenza fino alla morte”. Oggi Vincenzo non lavora, nel calcio come da nessun’altra parte, e ha messo la lotta per la libertà del padre come unico obiettivo da perseguire.