“Ho speso molti soldi per alcool, donne e macchine veloci. Il resto l’ho sperperato”: chi lo ha detto? Lo sanno anche le pietre, ma il ‘quinto Beatle” l’ha pagata duramente, alla fine
Non ha mai giocato un Mondiale, ma le sue giocate sono ancora fonte di ispirazione: il mito dei tifosi del Man United, e non solo, vive ancora.
Molti sono attaccanti, ma non può esserci una spiegazione logica per quella che a tutti gli effetti è una casualità. Centravanti prolifici, esterni pieni di talento e colpi magici, o fantasisti capaci di mandare in porta un compagno prima ancora che il resto della squadra potesse anche solo immaginare quel passaggio.
Eppure, questo gruppo ristretto, ma estremamente qualitativo, di giocatori che non hanno mai partecipato ad un campionato del mondo, pur avendo avuto le qualità tecniche e in qualche caso anche la longevità per vincerne almeno un paio, viene rispolverato più spesso di quanto si pensi dagli appassionati, oltre che dagli addetti ai lavori.
C’è sempre un motivo per una cosa che accade, anche per la più stravagante e in apparenza inspiegabile. Questo caso non fa eccezione. Se non abbiamo visto certi talenti neppure per un minuto in un Mondiale può essere in primo luogo per motivi anagrafici, se ai loro tempi la competizione non era neppure stata inventata.
È il caso di Valentino Mazzola, leggenda del Grande Torino. Oppure, come accaduto ad Alfredo Di Stefano, il motivo è legato ad uno strano balletto di nazionalità. Prima Argentina, poi Spagna, ma il grande appuntamento è sempre saltato. C’è chi, come Eric Cantona, pur avendo giocato molto con la Francia, fu protagonista delle due, clamorose mancate qualificazioni consecutive dei Blues, nel ’90 e nel ’94. E poi c’è chi deve prendersela con i propri natali.
Una carriera da sogno e una vita da ‘dannato’: la leggenda del ‘Quinto Beatle’
George Best e Ryan Giggs sono stati i giocatori più forti della storia di Irlanda del Nord e Galles. Nazionali mai troppo forti per riuscire a qualificarsi alla fase finale di un Mondiale e mai come in questi due casi si può dire cosa ci siamo persi. Due degli esterni più forti di tutti i tempi, uniti da questo destino e dalla militanza nel Manchester United.
I punti di contatto, però, si fermano qui, perché al netto delle disavventure giudiziarie avute dal gallese, l’aura che avvolge Best è ormai qualcosa di molto prossimo al mito. Vuoi per le sue qualità, vuoi per quel carattere da ribelle ante litteram che si sposò perfettamente con gli anni della sua esplosione calcistica, la seconda metà dei ’60, alla base anche del soprannome che lo ha consegnato alla leggenda, “Quinto Beatle”.
Il 1968 come anno d’oro, poi il tunnel dal quale non ha saputo uscire: la lezione di George Best
Il Pallone d’oro vinto proprio nel 1968 (un segno del destino?), nello stesso anno della prima Coppa Campioni dei Red Devils, e mille giocate geniali sfoderate sul campo e la sua irriverenza nei comportamenti, tra belle donne da inseguire e auto lussuose da guidare a folle velocità, ne hanno fatto per anni un modello per tanti giovani. Lo spirito ribelle più famoso del calcio mondiale ha però vissuto troppo poco, meno di 60 anni, lasciando dal letto di morte un messaggio-appello ai tanti cresciuti ispirandosi a lui: “Non morite come me”.
A 19 anni dalla sua scomparsa, frutto delle complicazioni della dipendenza dall’alcool che lo assalì già negli anni ’80, la stessa che nel 1978 uccise la madre, di fianco alla quale George oggi riposa, di Best è rimasto molto di più rispetto a quel motto oggi fin troppo citato: “Ho speso molti soldi per alcool, donne e macchine veloci. Il resto l’ho sperperato”. Pura ironia in stile britannico, che tuttavia da quando il beffardo sorriso di Best si è spento ha tramandato un’amara lezione esistenziale. I belli maledetti e geniali esistono per davvero. Purtroppo, però, vivono troppo poco e troppo presto diventano miti. Magari da non imitare, ma da rimpiangere.