“Sì, ho cambiato la mentalità sul calcio degli italiani”: il tecnico si auto-esalta, ma c’è chi è già pronto a fargliela pagare
Il calcio italiano non è più difesa e contropiede: la Champions parla chiaro e a dirlo è un insospettabile. Che ora, però, rischia grosso…
Catenaccio e contropiede contro gioco offensivo? Difesa bassa contro fuorigioco sistematico? Il calcio ha sempre vissuto di contrapposizioni, seppur spesso più tali sulla carta che in concreto e trasformate in dicotomie manichee quasi solo per trovare argomenti di discussione.
Un fondo di verità comunque c’è stato, perché l’evoluzione della tattica calcistica ha sempre visto contrapporsi due “partiti” fondamentalmente antitetici tra loro. Perché, in particolare in sport di squadra nelle quali la strategia riveste un ruolo importante, se qualcuno inventa qualcosa di nuovo in grado di scardinare la tradizione, ci sarà sempre posto anche per i “nostalgici”.
All’interno di queste contrapposizioni il calcio italiano ha spesso avuto una posizione conservatrice. Per capire il perché bisognerebbe aprire un capitolo sociologico, qui basta dire che nella patria del fine che giustifica i mezzi si è spesso arrivati a capire prima degli altri quale fosse la via più breve per arrivare a dama. Nella fattispecie per raggiungere l’obiettivo finale del gioco del calcio.
“Tu attacchi, io mi difendo e poi ti colpisco ripartendo”. Si tratta ovviamente di estremizzazioni, che hanno però finito per alienare al football nostrano critiche dal resto del mondo, non sempre direttamente proporzionali ai successi ottenuti. Così la Juventus di Trapattoni è passata alla storia per essere “catenacciara”, pur schierando in campo un numero di attaccanti pari a quello di formazioni connazionali che sono state le madri della Rivoluzione.
Calcio italiano ‘catenacciaro’? La rivincita arriva dalla Champions League
Di contrapposizione in contrapposizione quella sul tiki-taka tanto di moda a inizio millennio sembra aver lasciato spazio ad uno scontro ai limiti del sofisma. Calcio posizionale o calcio relazionale? È questa la moda del momento. Gasperini da una parte, Xabi Alonso e Thiago Motta dall’altro, solo per fare qualche esempio. De gustibus non disputandum est e in ogni caso la verità è solo una. Si può vincere, ma soprattutto divertire, in un modo e nell’altro, come ha dimostrato l’ultimo turno di Champions League.
“Siamo stati bravi nel cercare il momento giusto per attaccare. Posizionalmente abbiamo fatto grandi cose”. Parole e musica di Paulo Fonseca al termine di una delle notti più gloriose della propria carriera, quella che ha visto il Milan sbancare il campo del Real Madrid grazie a una prestazione impeccabile dal punto di vista della tattica, della strategia e del mutuo soccorso tra compagni.
Gioia Fonseca, tra rivincita e orgoglio “italiano”
Eccola quindi la parola chiave: “posizionalmente”. A Madrid si è visto un Milan “completo”. Difensivo quando era il caso, ma anche coraggioso nel tenere la squadra corta e alta. Per una volta quindi gli spagnoli non potranno tacciare gli italiani di difensivismo. Fonseca abbozza prima di lasciarsi andare ad una difesa corporativa della sua nuova patria calcistica: “Abbiamo dimostrato che una squadra italiana sa anche giocare con la palla”.
La risposta data a Sky Sport è relativa a un concetto espresso dal tecnico prima del match contro il Bayer Leverkusen, quando Fonseca si espose contro il luogo comune delle squadre italiane “difensiviste”. L’auto-esaltazione non rientra nel personaggio, ma un’eccezione ci può stare, seppur con tutti i rischi del caso. Le difficoltà del Real e le motivazioni che una partita così può portare non sono infatti scenari ripetibili in ogni gara, motivo per cui il tecnico rossonero rischia di “pagare” questa uscita almeno dal punto di vista mediatico al primo risultato negativo dopo lo stesso tipo di prestazione. Perché, come affermato dallo stesso tecnico portoghese, “È più difficile giocare con il Monza che con il Real”. E, almeno in Serie A, ci sono molti più Monza che Real da affrontare…