Il ricordo lo devasta fino alle lacrime: “Ma sono fortunato” | Commozione collettiva sui social, sono tutti con lui
Una carriera piena di titoli e guadagni e un uomo costretto a convivere con un dolore atroce: il racconto straziante del campione.
Lo sport come palestra di vita, ma anche come strumento per trasmettere valori esistenziali, quali la resilienza, la voglia di non arrendersi mai neppure quando tutto sembra perduto. E anche la capacità di guardare avanti, per cercare di intravedere una motivazione per continuare a vivere.
Sono questi alcuni dei vantaggi che offre la vita dello sportivo. Da appassionato o da amatore, perché lo spirito dell’agonista può fare bene a corpo e anima anche senza gareggiare ad alti livelli, ma ovviamente in primo luogo da professionista. Avere la fortuna di trasformare lo sport preferito da passione a lavoro regala vantaggi che vanno oltre la mera sfera economica.
Tutto sta, ovviamente, nel saper dare il giusto valore ad ogni cosa in base all’età nelle quali vengono vissute. Sostenere che lo sport vada vissuto con leggerezza quando si approccia la propria disciplina, quindi in tenera età, non è solo un luogo comune. Al contrario si tratta della prima regola per fruire dei benefici più “puri” dell’attività sportiva, a livello fisico, ma soprattutto mentale: il divertirsi attivando il proprio corpo e stando insieme a coetanei che hanno la stessa passione.
Una delle regole d’oro è vietare di illudersi che quel privilegio, lavorare giocando, possa davvero concretizzarsi. Fino alle soglie del professionismo la leggerezza mentale è il primo requisito per evitare, in futuro, che la routine sovrasti il piacere di andare ad allenarsi. Poi, una volta che la carriera è avviata, quel patrimonio di valori resta e può aiutare nella vita di tutti i giorni.
Una carriera piena di successi e una vita segnata dal dolore: il dramma dell’allenatore
Le storie di sportivi conosciuti in tutto il mondo costretti ad avere a che fare con malattie e lutti all’interno della propria famiglia sono numerose. Si può pensare che chi sia ricco e famoso abbia in sé più “anticorpi” per superare il dramma o elaborare un dolore. Forse è proprio così, ma questa fortuna non è dovuta al lato economico, o comunque non principalmente ad esso, ma proprio dall’aver vissuto per anni sfide formative, seppur di natura ben diversa.
Una delle storie di cronaca associate allo sport più strazianti della storia recente è quella che ha riguardato Luis Enrique. L’allenatore del PSG ha subito nel 2019 la perdita della figlia Xana, scomparsa ad appena 9 anni a causa di una rara forma di tumore osseo. Il destino purtroppo non guarda in faccia a nessuno, così neppure i potenti mezzi economici della famiglia sono bastati per vincere la sfida con la scienza ed evitare una perdita così straziante.
Luis Enrique e il ricordo della figlia Xana: “È qui con me”
Il tecnico asturiano ha aperto le porte del proprio cuore in un documentario trasmesso da Movistar +. Gli occhi di Luis Enrique si sono velati di lacrime solo nel finale e solo dopo aver pronunciato parole sorprendenti: “Io mi considero molto fortunato. Mi si potrebbe dire ‘Ma come, ti è morta una figlia a 9 anni’. Sì, ma Xana ha vissuto con noi 9 anni meravigliosi. Abbiamo 1000 ricordi incredibili di lei”.
Parole che hanno unito la comunità degli appassionati di calcio di tutto il mondo, che oltre ogni bandiera e divisione di tifo si sono stretti a Luis Enrique, abbracciandolo idealmente via social. L’allenatore ha poi svelato un retroscena relativo alla propria madre, la nonna di Xana, e ad un consiglio pratico fornitole per cercare di andare avanti: “Mia madre non voleva avere foto di Xana. Un giorno sono tornato a casa e le ho detto ‘Mamma, deve esserci Xana’. Xana è viva, non sul piano fisico, ma sul piano spirituale perché ogni giorno parliamo di lei, ci ridiamo su e la ricordiamo”. “Io penso che Xana ci guardi” la toccante conclusione di Luis Enrique. Un uomo di sport con il quale la vita è stata troppo crudele.