“È finito tutto”: il campione scoppia in lacrime in pubblico e lo confessa a cuore aperto | Ecco tutta la verità
Addetti ai lavori e appassionati di calcio di tutto il mondo restano attoniti: l’annuncio in diretta è definitivo, la decisione è presa.
Dacché calcio è calcio il vincitore del Pallone d’Oro è uno degli argomenti più dibattuti da tifosi e addetti ai lavori. Il trofeo ideato da France Football è diventato il riconoscimento individuale più importante e ambito, resistendo a diversi tentativi di “imitazione”.
I frequenti cambi di regolamento e la crescente mediaticità dell’evento, tuttavia, hanno col tempo tolto, se non credibilità, quantomeno un pizzico di attendibilità ad un premio che non sempre negli ultimi quattro-cinque lustri è andato al miglior giocatore dell’anno solare, come da “policy” storica, andando piuttosto a rimpolpare le già ricche bacheche dei più forti in assoluto.
Fuori dai denti, in tanti hanno pensato che alcuni dei Palloni d’Oro sollevati da Leo Messi e Cristiano Ronaldo sarebbero potuti finire in mani diverse, senza che questo andasse a nuocere alla fama, al palmares e alle riconosciute qualità tecniche dei due giocatori capaci di segnare gli ultimi vent’anni di storia del calcio mondiale, non solo per i titoli vinti.
Fatto sta che, oltre a Pelè e Diego Armando Maradona, penalizzati dal regolamento che alle loro epoche limitava la scelta ai soli calciatori europei, sono tanti i giocatori che si sono dovuti rassegnare a chiudere la carriera senza essere riusciti a sentirsi proclamare almeno per una volta come i più forti del reame in un determinato anno solare.
Pallone d’Oro, storie di trionfi e ingiustizie: lo “strano caso” del 2010
L’elenco è lunghissimo, ma comprende in maggioranza nomi di chi dal calcio giocato si è già ritirato. Da Gigi Buffon, beffato dall’amico Fabio Cannavaro nel 2006, fino a Wesley Sneijder, al quale nel 2010 non bastò vincere la Champions da protagonista con l’Inter e arrivare in finale mondiale con l’Olanda per detronizzare sua maestà Messi.
Proprio l’edizione del 2010 è stata una delle più discusse della storia recente del Pallone d’Oro, dal momento che i due simboli della Spagna iridata, Xavi e Andrés Iniesta, furono costretti a inchinarsi all’illustre compagno di club, nonostante i blaugrana non fossero riusciti a trionfare in Champions. Chissà se oggi questo è ancora un rimpianto per uno dei centrocampisti più forti di tutti i tempi, fresco di addio al calcio.
La leggenda dice basta: addio al calcio a 40 anni, tifosi in lacrime
A 40 anni e mezzo, infatti, Don Andrés Iniesta ha detto basta. L’Illusionista, soprannome piuttosto esemplificativo circa l’unicità delle sue qualità tecnico-tattiche, ha annunciato il proprio ritiro, evento che, in attesa che ad appendere le scarpe al chiodo sia lo stesso Messi, mette un altro sigillo a un’epoca calcistica. Chiusa nel 2018 l’epopea al Barcellona, club nel quale è cresciuto giocando per 16 stagioni e vincendo 34 titoli (quarto giocatore più vincente della storia del calcio), tra i quali quattro Champions League, cui si aggiungono il Mondiale e due Europei con la Spagna, Iniesta si è felicemente riciclato in Giappone per cinque anni con il Vissel Kobe, prima di un’ultima passerella all’Emirates Club.
Nonostante una carriera alla quale è mancato appunto solo il Pallone d’Oro, Iniesta non ha trattenuto le lacrime al momento dell’annuncio pubblico, accompagnato dalle parole di ritiro: “Le mie non sono lacrime di tristezza, ma quelle di un bambino che sognava di diventare un calciatore”. In attesa di capire se testare il proprio talento calcistico anche come allenatore, Iniesta ha registrato milioni di messaggi sui propri profili social, oltre a quello del Barcellona. Messaggi di ringraziamento per le giocate regalate, per essere stato un pioniere del ritorno del calcio totale, ma soprattutto per essere stato un genio mai sopra le righe sul piano comportamentale. E per aver declinato la parola classe, in tutti i suoi significati.