Addio graticola, Fonseca annienta la crisi: come? Merito del suo scudiero in campo I Gli dice tutto quello che succede nello spogliatoio
Tre vittorie consecutive in campionato, lampi di spettacolo e tanti sorrisi: c’è il coraggio del tecnico dietro la rinascita del Milan.
Che i giudizi nel calcio di oggi in cui si gioca ogni tre giorni siano volatili non lo si scopre oggi. Il caso del “paziente” Milan è però paradigmatico. Il pianeta rossonero è passato dalla crisi più nera ai sorrisi più smaglianti in meno di una settimana. Con buona pace di chi ha… lavorato a vuoto.
Di fatto dalla notte di Lazio-Milan, quella del (presunto) ammutinamento di Theo e Leao durante il cooling break più famoso della storia, redazioni dei giornali e esperti di mercato avevano iniziato a lavorare sulla caccia ai possibili eredi di Paulo Fonseca. Il debutto balbettante contro il Torino e il ko di Parma erano due indizi, il sospetto che il tecnico portoghese non avesse in mano il gruppo il terzo.
La nottataccia in Champions contro il Liverpool, invece, era stata la classica prova del nove e il derby in arrivo la conferma che la fortuna non fosse dalla parte dell’ex allenatore di Roma e Lille. E allora via con le previsioni: “Se Fonseca perde male il derby verrà esonerato”. Il resto della storia è noto e va oltre i risultati. La trasferta di Leverkusen ha fatto capire che non tutti gli avversari sono teneri come Venezia e Lecce e che, come non destinato al peggio prima, il nuovo Diavolo non sia diventato imbattibile dalla stracittadina in avanti.
Ciò non toglie però che i meriti di Fonseca siano evidenti. Gli occhi smarriti dei giocatori dopo il tracollo contro i Reds erano reali, ma la trasformazione in sguardi di sfida non è avvenuta contro l’Inter, bensì durante la famosa chiacchierata di un’ora e mezza avvenuta in settimana. Un’ora e mezza di confronto totale. Certo, la svolta iper offensiva che tanto ricorda quella dell’era Leonardo ha contribuito a liberare le menti dei giocatori, ma non basta per spiegare la metamorfosi.
Fonseca e la strategia del dialogo per uscire dalla crisi
Quando si è sull’orlo del baratro ci sono diversi modi per provare a uscirne. Si può cercare aiuto ai leader del gruppo, si può puntare su una terapia d’urto andando allo scontro con la squadra, alla Mourinho, o si può giocare di psicologia, come fatto lo scorso anno da Claudio Ranieri, che a Cagliari pungolò lo spogliatoio ventilando le dimissioni.
Fonseca, che con lo Special One ha in comune solo la nazione d’origine, ha scelto un’altra via, lontana da tutte. Alla base della nuova vita del Milan, di quella notte da co-capolista trascorsa dopo il successo sui salentini, c’è stato il dialogo e quella parola magica, “coraggio”, che rappresenta la miglior didascalia del cammino intrapreso. La società ha osservato in silenzio, magari stranita, ma senza intromettersi nelle scelte di campo. Funziona così nel management made in Usa, dove si giudica in base ai risultati, non solo tecnici, ma anche di valorizzazione del patrimonio giocatori.
Il Milan e il protagonista che non ti aspetti: Abraham emblema della rinascita
E anche in questo senso Fonseca ha avuto ragione, perché se c’è un giocatore simbolo della svolta, se si deve scegliere un solo scudiero del tecnico, questo ha la faccia indiavolata di Tammy Abraham. All’inglese arrivato dalla Roma nelle ultime ore di mercato sono bastati pochi minuti contro la Lazio per incidere e per far capire di non essere solo il centravanti di riserva. La garra mostrata nello scorcio finale della gara contro il Liverpool ha convinto Fonseca che l’inglese meritasse di vedersi cucito l’attacco su misura. Magari nel famoso confronto pre-derby il tecnico avrà ricevuto anche gli endorsement di Tomori e Morata, due che Abraham lo conoscevano bene dai tempi del Chelsea, utili per convincersi che il 4-2-fantasia con Tammy vertice della piramide non fosse solo utopia.
Nel nuovo Milan tutti giocano l’uno per l’altro, dal frangiflutti Fofana al Morata versione trequartista, da Pulisic letale nell’area avversaria quanto generoso nei ripiegamenti, fino allo stesso Abraham, che non sarà il numero 9 più freddo al mondo sotto porta, ma che nel momento più difficile è stato il primo a vedere la luce in fondo al tunnel. Quello dal quale Fonseca è uscito. Senza bisogno di urlare, sbattere i pugni o ventilare dimissioni.