“Non siete voi i proprietari del club”: lo sfogo durissimo del Numero 1: “Pensano solo a una cosa”
Risultati altalenanti e rapporto difficile con la proprietà: sono giorni difficili per una big del calcio italiano.
Il rapporto tra tifosi e presidenti rappresenta da sempre uno dei capitoli più controversi di quel romanzo popolare che è il calcio. Passano gli anni, lo sport cambia di pari passo con l’evoluzione della società, ma i due poli che ruotano attorno al mondo squadra restano gli stessi. Con le loro contraddizioni.
Da una parte la passione popolare, quella di chi ha nella propria squadra del cuore qualcosa di più di una “semplice” bandiera da difendere e sostenere una volta alla settimana. Le sorti dei colori più amati possono orientare gli umori quotidiani come e più rispetto all’andamento della sfera lavorativa e in qualche caso anche di quella sentimentale.
Chi segue la propria “amata” anche in trasferta è disposto a mettere in secondo piano gli affetti pur di seguire ovunque i beniamini preferiti. Ieri come oggi, perché anche nell’era del calcio televisivo e del campionato “spezzatino” si è disposti a sacrifici di ogni tipo e a viaggi scomodi pur di non mancare all’”evento”.
Stiamo parlando ovviamente della partita, che nell’ottica del tifoso “tradizionale” resta l’unica cosa meritevole di attenzione. Insieme alle operazioni di calciomercato, da vivere con trasporto e tensione nella speranza che nasca la squadra più forte possibile. Proprio questo concetto sta però contribuendo ad allontanare sempre più i tifosi dai proprietari, in particolare quelli “contemporanei”.
Tifosi vs proprietà (straniere): l’eterno dualismo del calcio
L’epoca dei presidenti-mecenati, quelli con i quali avere un rapporto diretto e ai quali chiedere di spendere anche senza ritorno, è infatti ormai tramontata. In Italia, dove la “specie” ha avuto parecchi rappresentanti, come all’estero. Il calcio di oggi è un business per i padroni del vapore, con buona pace per chi, investendo “solo” passione, oltre al prezzo dei biglietti, si concentra esclusivamente sui risultati del campo.
Business vuol dire spendere con oculatezza, ma soprattutto con la speranza di avere un ritorno, e tenere i bilanci in ordine. In sostanza, investire per guadagnare. Difficile riuscirci nel calcio, in particolare in quello italiano, e di ciò si sono già accorte le tante proprietà made in Usa di stanza tra Serie A e B. Che si tratti di piccoli o grandi club, il rapporto con la tifoseria è quasi sempre freddo, proprio perché i punti di vista sono antitetici. Milan e Roma sono i due casi più eloquenti e a esemplificarlo sono le ultime dichiarazioni di Gerry Cardinale.
Milan, il messaggio di Cardinale: “Il club non è dei tifosi”
Intervenuto a New York in occasione della ‘Giornata dello Sport Italiano nel Mondo’, svoltasi a Park Avenue, la sede del consolato italiano, il numero 1 di RedBird e del Milan ha parlato insieme, tra gli altri, al coproprietario dell’Atalanta Stephen Pagliuca. Se però quest’ultimo si è trasformato sulle potenzialità del calcio italiano, Cardinale ne ha sottolineato le criticità, focalizzandosi in particolare proprio sul punto di vista dei tifosi: “Considero la A come una delle più grandi esportazioni dell’Italia, ma purtroppo per i tifosi conta solo vincere le partite. L’idea che si debba spendere tutto il necessario per vincere è sbagliata. Io non lo farò mai”.
Nulla di nuovo, in sostanza, dal momento che il fondo proprietario del Milan dall’estate 2022 aveva già chiarito in tempi non sospetti quale fosse il proprio modus operandi. “Faremo tutto il possibile per vincere, ma in modo intelligente” ha aggiunto Cardinale, la cui frase successiva è quella che rischia di determinare una frattura con il popolo rossonero: “In Italia i tifosi pensano che la squadra sia di loro proprietà”. Ecco il concetto che esprime tutta la distanza tra visione italiana, o europea, dello sport e quella americana. Forse inconciliabile, a prescindere dai palmares.