“È una coppa stupida, ridicola”: l’ex tuona senza giri di parole, e suoi social scoppia la polemica
Quando a parlare è chi ha contribuito a fare grande uno sport l’effetto è dirompente: il durissimo affondo diventa virale.
Toglietemi tutto, ma non la “mia” Coppa. Cosa sarebbe lo sport senza il brivido di alzare un trofeo vinto con fatica? Che si tratti di una finale, di una corsa da disputare o di un match uno contro uno da affrontare, al termine di ogni battaglia agonistica che viene vinta il momento più dolce resta quello della premiazione.
I minuti che separano dalla fine dello sforzo fisico alla consegna materiale del trofeo sono all’insegna di emozioni che i protagonisti fanno spesso fatica a ricordare a distanza di anni. Come in una sorta di prosecuzione della trance agonistica della gara, immutabile anche quando già durante la parte finale della prova si ha avuto la fortuna di realizzare che “era fatta”.
Già, la Coppa, il riconoscimento “fisico” di mesi o anni di sacrifici, ciò che resterà da stringere a distanza di tempo. Funziona così per tutte le discipline, sebbene lo sport contemporaneo ci abbia abituato a veder modificate anche quelle competizioni che sembravano intoccabili, ma che hanno al contrario subito trasformazioni molto simili a stravolgimenti.
Tutto in nome della ricerca di una spettacolarità sempre maggiore, con il fine di aumentare il coinvolgimento del pubblico e di conseguenza gli incassi. Peccato che questo abbia implicato un aumento esponenziale degli impegni per gli atleti, le cui energie in molti sport vengono spremute fino all’ultima goccia per quasi 12 mesi all’anno, con conseguenze prevedibili tanto per la salute, quanto per la qualità stessa delle prestazioni.
Dal Mondiale alla Davis: quando la Coppa cambia pelle
Pur essendo filosoficamente agli antipodi, calcio e tennis, ovvero lo sport di squadra e quello individuale per eccellenza, sono (pericolosamente) accomunati da questa tendenza recente che sembra irreversibile: l’aumento esponenziale del numero delle partite. Ecco allora che quelle “coppe” da alzare da obiettivi agognati si trasformano indirettamente in nemiche, da provare a raggiungere al termine di veri e propri percorsi a ostacoli.
Gli ultimi effetti di ciò sono stati nel calcio l’introduzione della nuova Champions League, del Mondiale per club e del Mondiale per nazioni a 36 squadre. Nel tennis la trasformazione della Coppa Davis, invisa a tanti protagonisti e addetti ai lavori. L’ultimo grido di dolore al riguardo è arrivato da uno dei più celebri “bad boys” della storia recente.
Lleyton Hewitt, nuovo attacco alla Davis: “Così è ridicolo”
Il capitano dell’Australia Lleyton Hewitt ha infatti ribadito la propria contrarietà nei confronti della formula ormai consolidata della Coppa, che vedrà le Final Eight 2024 svolgersi a novembre a Malaga: “Nel vecchio formato si aspettava fino al venerdì prima di giocare. Ora giocare già di martedì è ridicolo” ha attaccato Hewitt, incredulo in particolare di fronte ad un regolamento che ha obbligato a far disputare la sfida tra Spagna e Australia, pur essendo entrambe già certe di un posto alla Final Eight: “Questa è la parte stupida di questo formato. Possiamo dirlo?”. Parole che hanno immediatamente fatto il giro dei social, trovando più di una sponda.
La rabbia di Hewitt è quella di chi ha vissuto il passaggio da un tennis più “umano”, quello della sua epoca da giocatore, che l’ha visto vincere due Slam e raggiungere la prima posizione del ranking ATP, a quello attuale, nel quale la considerazione per la salute degli atleti è minima: “Provate a chiedere ai giocatori di giocare il secondo giorno dopo la fine di un Grande Slam. Non è facile”. Chissà se anche questo nuovo grido di dolore finirà inascoltato sull’altare della spettacolarizzazione e dei guadagni.