10 anni di stop: nessun perdono dopo la positività | Carriera in frantumi
Il mondo dello sport continua a fare i conti con lo spettro del doping in tante discipline: arriva una sentenza esemplare.
Quello tra lo sport e il doping è un abbraccio a volte mortale, agonisticamente parlando, e in ogni caso sempre perverso, che in tante, troppe occasioni ha portato a riscrivere ordini d’arrivo e albi d’oro di Mondiali o Olimpiadi.
Nella maggior parte dei casi il fenomeno riguarda sport individuali, ma citare un’attività rispetto a un’altra sarebbe fuorviante, rischiando di bollare una certa disciplina quando a macchiarne la dignità è solo l’attività fraudolenta di pochi individui.
Infrangere le regole scritte e non della pratica sportiva, che richiede di dare il meglio di sé nel rispetto degli avversari e quindi gareggiando in modo leale. Questo significa doparsi, ovvero alterare le proprie prestazioni. Chiaro l’obiettivo: puntare sempre e comunque a vincere, calpestando l’ideale decoubertiniano della gioia dettata dal partecipare e quindi aumentare i propri introiti economici.
Non a caso la triste “moda”, tralasciando casi particolari di “doping di stato” ormai lontani nel tempo, ha iniziato a dilagare negli ultimi 40 anni, ovvero da quando il mondo dello sport è diventato un fenomeno di massa, capace di attirare sempre più spettatori e di conseguenza sempre più investitori, non soltanto potenziali.
Atletica e doping, una piaga infinita
Neppure gli sport di squadra, tuttavia, sono immuni dalla piaga del doping, seppur in essi i casi si riferiscano nella quasi totalità ad isolate iniziative individuali. Calcio compreso, sebbene gli scandali che negli ultimi decenni hanno travolto il mondo del pallone siano stati ben altri, legati a corruzione e scommesse.
Diversa la situazione del ciclismo, che ha vissuto brutte pagine a fine anni ’90, o dell’atletica leggera. Lo scandalo di Ben Johnson, trovato positivo a Seoul 1988 poche ore dopo aver dominato i 100 metri, fa ormai parte della storia, ma la regina delle attività sportive deve ancora oggi convivere con situazioni controverse che vanno a cancellare e spesso a cancellare record conseguiti.
Titus Ekiru, dal trionfo di Milano alla stangata: carriera finita
Ne sa qualcosa il keniano Titus Ekiru, uno dei maratoneti più apprezzati degli ultimi anni, che ha appena subito una squalifica pesantissima dalla Commissione etica della federazione mondiale di atletica leggera. Il vincitore della Maratona di Milano 2021 è stato infatti sospeso per ben 10 anni. Ekiru è accusato di doping e ostacolo alle indagini. Risultato positivo ad una sostanza dopante proprio dopo il successo di Milano, dove aveva dominato con il tempo straordinario di 2:02:57, Ekiru era stato sospeso provvisoriamente nel giugno 20022 per l’uso di triamcinolone acetonide, sostanza vietata dal gennaio dello stesso anno, e di petidina, un narcotico.
L’atleta è poi risultato positivo ad un altro controllo, nel novembre dello stesso anno, ad Abu Dhabi, difendendosi sostenendo che l’esito dell’esame fosse dovuto a cure mediche legali per i suoi infortuni. Una giustificazione che non ha convinto la Commissione. Ekiru, che è stato privato di tutti i titoli conseguiti, non potrà quindi correre fino al 2033. Trattandosi di un atleta di 31 anni va da sé che la sua carriera sia virtualmente finita.